L’uso di piante o di parti di esse per ricavarne sostanze coloranti risale a tempi molto antichi, gli usi che ne sono stati fatti sono tra i piu’ svariati e insoliti, ma indubbiamente a giovarne maggiormente sono stati i tessuti.
Tra i vari colori sicuramente quello che ha avuto un ruolo piu’ importante, se non altro anche per diffusione e’ l’indaco.
L’indaco si puo’ ricavare sia dall’Isatis Tinctoria (nome volgare guado), pianta appartenente alla famiglia delle CRUCIFERE (per intenderci la stessa famiglia del cavolo) ed e’ indigena nelle regioni temperate dell’Europa del Nord, che dall’Indigofera tinctoria.
Il guado è una specie biennale con foglie astate e fiori gialli riuniti in racemi molto densi, i sepali sono gialli come i petali e i frutti sono delle silique pendule, ellittiche oppure lanceolate. La troviamo frequentemente lungo i bordi delle strade e in luoghi calpestasti. Fiorisce da maggio a settembre.
Nell’Europa medievale, intorno alla produzione dell’indaco dal guado, si sviluppo’ una fiorente industria, che, pero’, dall’inizio del XVII secolo, conobbe il declino in seguito alla competizione dovuta all’importazione dell’indaco derivato dall’Indigofera, una specie tropicale, molto simile, da cui l’indaco deriva il suo nome (dal latino indicum, cioe’ “proveniente dall’India”).
L’indaco ebbe un ruolo rilevante nell’economia dell’India in quanto questa fondamentale materia tintoria, essendo della migliore qualita’, per centinaia di anni venne esportata in tutto il mondo. Nell’India, patria di un’antichissima arte dei colori, migliaia di persone lavoravano nella coltivazione e nell’estrazione dell’indaco. Addirittura esiste tutt’oggi una casta detta dei Nilari che da millenni tingono tessuti in blu con l’indaco.
Nila e’ la parola in lingua sanscrita che si riferisce sia al colore blu sia alla pianta dell’Indigofera.
Il metodo utilizzato per tingere con l’indigofera consisteva nel rendere solubile in acqua l’indaco contenuto nella pianta, trasformandolo, attraverso vari passaggi in urina di mucca con aggiunta di melassa, robbia e calce, nel precursore indigotina.
La prima disobbedienza civile nell’India di Gandhi fu proprio per protestare contro la decisione dei colonizzatori Inglesi di sostituire l’indaco naturale con quello chimico da loro prodotto, distruggendo cosi’ tradizioni artigianali e culturali da milleni radicate in quei territori, infatti fin dalla preistoria l’indaco è stata la colorazione blu più utilizzata dal genere umano.
Il blu e’ da sempre considerato segno di eleganza, e’ il colore comune a tutti quei capi di vestiario che possono sfidare la moda, come il blazer. Ma e’ anche segno di pace e tranquillita’: non a caso il blu e’ il colore dei caschi delle truppe di pace dell’ONU, le uniche truppe cui generalmente si accorda una funzione positiva, e’, del resto, il colore-simbolo di tutte le associazioni internazionali che dovrebbero garantire il benessere e la pace, come la Societa’ delle Nazioni prima, le Nazioni Unite poi, e l’Unesco, la Fao, ecc. Il blu e’ diventato un colore internazionale, percepito come il colore piu’ pacifico e piu’ neutro.
Ma non è sempre stato cosi’, in Occidente, l’ascesa, il successo del blu e’ un evento relativamente recente, anche se per gli antichi egizi, e in tutto il vicino e Medio Oriente, il blu era un colore benefico capace di allontanare le forze del male. Presso gli antichi Greci e Romani, nonche’ presso il popolo ebraico, il blu era invece un colore poco apprezzato, che si portava per lutto o per mortificazione. A Roma, contribuiva pesantemente al suo discredito il fatto che alcuni popoli barbari coltivassero l’isatis tinctoria, utilizzata per colorare il corpo prima delle battaglie e incutere cosi’ timore agli avversari. Proprio per questo a Roma era mal visto l’abbigliamento blu, considerato eccentrico e proibito a corte; gli occhi blu, poi, erano considerati quasi una disgrazia fisica: per la donna, segno di poca virtu’, per l’uomo, segno di effeminatezza o di “barbarie”. Solo nel mosaico (tecnica importata dall’Oriente) la tavolozza prevedeva il blu, anche chiaro.
Inizialmente ricavato dalle piante fu ottenuto sinteticamente alla fine del secolo scorso, in Germania, dove il chimico Adolf von Baeyer (premio Nobel nel 1905), lavorando in stretto contatto con l’industria di coloranti Badische Anilin und Soda Fabrik (oggi nota con la sigla Basf), riusci’ prima a dimostrare com’e’ fatta la molecola dell’indaco (1883) e poi a mettere a punto il primo procedimento per la sua sintesi industriale, che divenne effettiva poco piu’ di un secolo fa, nel 1897.
La sostituzione commerciale dell’indaco derivato dalle piante con il prodotto sintetico, ha significato che non c’e’ stata una grande attenzione scientifica intorno alla produzione dell’indaco dal guado; infatti si conosce poco sulle basi chimiche di un processo che una volta era alla base di un’importante industria. E’ stata riportata, come mera curiosita’ storica, la tecnologia tradizionale della produzione dell’indaco dal guado e identificato il passaggio nel quale si forma l’indaco dai precursori presenti nel guado delle foglie. In questo processo, le foglie fresche appena raccolte vengono frantumate fino a ridurle in una pasta morbida e appallottolate, poi si lasciano essiccare e si conservano cosi’ per lungo tempo. Vengono successivamente frantumate in polvere grezza che viene bagnata e posta a fermentare in presenza di aria , a circa 55° per un paio di settimane (couching), la polvere stessa viene poi usata per tingere.
Fu invece in America che l’indaco ebbe la sua seconda giovinezza quando fu adoperato per tingere quei pantaloni di tela grezza e resistente, buoni per operai e minatori, chiamati jeans. La produzione di questi pantaloni fu poi standardizzata negli Stati Uniti nel 1850 da Oscar Levi-Strauss, fondatore di quella che ancora oggi è la più rinomata industria di jeans.
Ultimamente si e’ registrata una riscoperta dell’indaco come colorante naturale. Le varie tecniche di estrazione prevedono l’uso di un solvente clorurato per ottimizzare le rese quantitative, pero’ questa tecnica fa perdere all’indaco ricavato la sua caratteristica di “prodotto biologico”, peculiarita’ molto richiesta dal mercato, ed inoltre ne inibisce l’uso per scopi farmacologici (colorante per colliri, compresse, ecc.).
Per l’estrazione e’ importante che le foglie vengano estirpate e non tagliate perche’ questo darebbe immediatamente inizio alla formazione di indaco. Appena si rompe una foglia di guado il liquor, contenente i precursori, viene a contatto con l’aria provocando cosi’ la formazione di indaco. Questo aderisce alla cera e, in generale, alla superficie della foglia, diventando cosi’ non facilmente recuperabile. Il vantaggio di questo procedimento e’ che il rifiuto puo’ essere completamente riciclato, le foglie infatti possono essere convertite in compost ed usato come materiale organico per migliorare il suolo, il liquor di scarto contiene azoto in forma ammoniacale che viene neutralizzato usando l’acido solforico, formando cosi’ il solfato d’ammonio, che puo’ essere utilizzato come fertilizzante prima del raccolto.